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28 gen 2017

[Recensione] The Last of Us


Il videogioco, come medium artistico, sta crescendo, e questo ormai celeberrimo titolo che nel 2013 ha fatto incetta di premi ne è la prova più lampante. Non abbiamo più solo insipide cavalcate di violenza, monotoni nidi di ripetitività competitiva, tredicenni che urlano epiteti nel microfono, e indie poco considerati, ma anche The Last of Us, l'equivalente videoludico dell'Oscar Bait: storie che toccano tutte le note che hanno successo assicurato con i critici, che si prendono qualche rischio ma non troppi, e che vengono abilmente impacchettate in una presentazione impeccabilmente nella media.

Partiamo dalla trama. Siamo in un'apocalisse zombie, in un mondo in cui la vita umana ha perso valore e l’istinto di sopravvivenza schiaccia qualunque moralità e etica (l'ambientazione più collaudata e sicura dopo la Seconda Guerra Mondiale, insomma). Vent'anni dopo la diffusione di una terribile infezione fungale che colpisce il cervello umano[1], il nostro protagonista Joel e la sua compagna di contrabbando Tess si trovano a dover scortare una ragazzina pericolosamente somigliante a Ellen Page, Ellie, per consegnarla a una fazione di idealisti rivoluzionari, in quanto potrebbe essere la chiave per curare l’epidemia. 

Dopo un prologo eccellente, efficacissimo nel trasmettere la confusione e la disperazione del momento in cui esplode l'epidemia, e che si conclude con la scena più emotivamente intensa del gioco, il viaggio di Joel e Ellie procede per tappe estremamente banali e prevedibili (l’evoluzione del loro rapporto e la progressiva perdita d’innocenza di Ellie sono da manuale), ma anche estremamente ben presentate. Grafica, dialoghi e recitazione sono a livelli stellari (Troy Baker, Ashley Johnson e Nolan North in primis), e spesso si può dire lo stesso della regia. 

Spesso, ma non sempre: ho trovato alcune scene chiave un po' frettolose, come se avessero avuto paura di andare fino in fondo: le scene più drammatiche terminano improvvisamente con uno stacco su nero proprio nel momento in cui dovrebbero entrare nel vivo (le reazioni, le conseguenze, gli sviluppi, il trauma etc.), per passare seccamente al capitolo successivo, come a dire "OK, questa è fatta, andiamo avanti".

Le animazioni facciali e il mo-cap sono grandiosi, e Tess assomiglia un casino a una mia amica. Screenshot preso da pushsquare.com.

Dove brilla davvero è nella presentazione dei personaggi e del mondo. Tutti sono caratterizzati in modo sorprendentemente approfondito, grazie a piccoli tocchi di personalità negli atteggiamenti o nei non detti, grazie alla grafica delle espressioni facciali, ovviamente grazie alla recitazione, ma anche grazie a quei piccoli elementi marginali non necessariamente utili all'intreccio che però aiutano a costruire personaggi vivi e complessi: gli indizi sull'omosessualità di Bill, la spiritualità di David, i sensi di colpa di Marlene, eccetera. 

Anche la narrativa ambientale data dai collezionabili, dai dettagli nelle mappe, dalle conversazioni fra i nemici aggiunge moltissimo nel processo di world-building: vengono subito in mente la comunità nelle fogne di Ish, la cui storia scopriamo attraverso una serie di elementi ambientali, o il camper con due piccoli cadaveri coperti da un lenzuolo proprio vicino a una foto di famiglia, o i piccoli tocchi di umanità dati alle comunità ostili che si incontrano. 

Ciò nonostante, non posso dire di essermi trovato particolarmente coinvolto emotivamente, se non nel prologo appunto. Questo certo a causa della tragica prevedibilità della trama, ma soprattutto della caratterizzazione un po' generica e inutilmente violenta di Joel, che mi hanno reso molto difficile il processo di identificazione e mi hanno lasciato quindi molto più distaccato di quello che mi sarei aspettato.

E qui, come si suol dire, casca l’asino. Il mio giudizio complessivo sulla trama, infatti, dipende principalmente da questo: questa disconnessione che ho percepito fra giocatore e avatar è o meno intenzionale? Perché qui c’è il fulcro di come si debba interpretare il finale e, con esso, la storia nel suo complesso. Dunque, alla fine, e metto sotto spoiler, si scopre che



Ora, la mia visione in merito è questa.


Il personaggio di Ellie da solo regge il 70% della qualità del gioco. Screenshot preso da pushsquare.com.

Il problema è che questa interpretazione, a giudicare dai commenti che ho letto in giro per l'interwebz, mi sembra non essere quella prevalente: molti non solo comprendono le azioni di Joel (sensato: io stesso probabilmente avrei agito allo stesso modo, avendo torto quanto lui), ma addirittura le considerano giuste, quando non addirittura soddisfacenti. Il che mi fa pensare che, se il messaggio del gioco è "l'umanità fa schifo e se non ci fosse la società ci ammazzeremmo a sangue freddo per un paio di scarpe", allora il gioco ha assolutamente ragione, perché io non riesco proprio a capire come si faccia a lodare pubblicamente un'azione del genere senza avere vergogna di guardarsi allo specchio, ma tralasciamo; il punto è che non so se la mia interpretazione fosse o meno l'intenzione degli autori.

Quindi, i casi sono due: o è corretta la prima interpretazione, e allora siamo di fronte a un gioco valido, con un nucleo tematico certamente coraggioso, ma presentato in maniera troppo superficiale perché non risulti inferiore ad altri titoli che hanno fatto cose simili ma prima e meglio (Spec Ops: The Line, The Walking Dead, This War of Mine, persino Metal Gear Solid 3 in parte); oppure è corretta la seconda, e allora siamo di fronte a un gioco fondamentalmente mediocre, con un finale confuso e eticamente ignobile.

Il gioco è ricco di momenti leggeri e contemplativi, in cui si lasciano sviluppare i rapporti fra i personaggi. Screenshot preso da mp1st.com.

Vorrei dare ora un po' di attenzione al gameplay. Abbiamo la nostra tipica combinazione di sparatorie in terza persona, stealth, esplorazione, e crafting, che si alternano in una sequenza lineare di setpiece. Devo ammettere che ho apprezzato il fatto che le risorse siano così scarse, perché spinge il giocatore a delle scelte: cosa faccio, esco e uso lo shotgun su questo gruppo di infetti, senza sapere se magari ce n'è un altro dietro l'angolo e rischiando di finire i colpi? Mi muovo e uccido silenziosamente tutti i soldati, sperando di raccattarne qualcosa di utile, o li evito e vado dritto all'obbiettivo? Uso questo coltello che ho appena fabbricato per aprire quella porta e riempirmi di provviste, o lo tengo casomai incontrassi dei clicker? 

Certo, alle difficoltà più alte la scarsità di munizioni e materiali è tale che molte di queste scelte sono ridotte a un obbligo: evita sempre gli scontri, uccidi sempre furtivamente, tieni i colpi per le sparatorie obbligate, ricarica sempre il checkpoint se anche un solo tuo colpo va a vuoto. Ma rimane un formato divertente. Apprezzabile è anche il fatto che le animazioni in combattimento, e mi riferisco in particolare ai takedown, siano così violente, crude, viscerali, cosa che amplifica ancora di più il senso di malata disperazione del mondo e delle azioni dei personaggi. 

Il tutto è competente e solido, ma come dicevo è nella media: lo shooting è nella media, il crafting è nella media, l'aspetto horror è nella media, e lo stealth… lo stealth no, quello è decisamente sotto la media.

Si va dall'affrontare gruppi di umani più miopi e sordi delle guardie del primo Metal Gear Solid (e che pure sembrano riuscire a comunicare telepaticamente, visto che quando uno solo di loro vede Joel tutti gli altri sanno immediatamente dov'è e dove sarà per tutta l'eternità), all'affrontare gruppi di zombie che sembrano individuarci o non individuarci in base al tiro di un dado (troppe, troppe volte ho visto un runner o uno stalker voltarsi di scatto mentre io mi stavo avvicinando alla velocità di una tartaruga monca, o addirittura mentre ero completamente immobile alle loro spalle, troppe volte sono stato visto senza alcuna ragione apparente[2]); senza contare che anche loro sembrano avere una hive mind tipo Borg (e non facciamo finta che questo non sia il più tipico e grave difetto degli stealth mediocri).
A questo si aggiungono alcune sezioni in cui, dopo aver pulito silenziosamente un'intera area di nemici, se ne vedono altri spawnare dal nulla perché il gioco aveva deciso che quella sarebbe dovuta essere una scena di shooting.


Insomma sì, ho parecchie lamentele sullo stealth, e sul combattimento in generale (ad esempio, il fatto che gli attacchi corpo-a-corpo nemici sembrano colpire in base alla tua posizione quando inizia la loro animazione e non quando l'arma effettivamente dovrebbe colpire; per dire, ho visto più volte David letteralmente teletrasportarsi un metro più avanti per colpirmi con un machete che io avevo abbondantemente schivato). Ma lasciamo stare: il punto è che l'esperienza “puramente ludica” di The Last of Us è adeguata ma mediocre, e per citare un articolo di clickonline.com «Batman, Adam Jensen and Solid Snake could offer a richer gameplay experience while comatosed».
 
...davvero? «Gaming's Citizen Kane moment»? Seriamente? Ok, adesso state davvero esagerando, dai.

Insomma, The Last of Us è sicuramente un gran bel gioco, ma il fatto che venga salutato come il picco dell'evoluzione del medium mi lascia abbastanza perplesso. Non mi sentirei mai di sconsigliarlo, né di non considerarlo fra i migliori della sua console, ma stiamo comunque parlando di una storia derivativa che non presenta nulla di nuovo. E, sinceramente, mi gira un po' il belino a leggere commenti che lo lodano come se avesse inventato il concetto di “storia drammatica e matura” e “protagonista antieroe”, perché mi ricordo che Metal Gear Solid è uscito quindici anni prima, Silent Hill 2 dodici anni prima, e Spec Ops: The Line un anno prima.




[1] Interessante il tentativo di rendere “realistico” lo scenario, ma, come spesso avviene, più si tende al realismo più ogni minima crepa diventa una rottura catastrofica: bella l’idea dei funghi, ma trattandosi di parassiti, l’ospite continua ad essere, fondamentalmente, un essere umano fatto di carne e ossa, che ha bisogno di funzionare come tale, ovvero ha bisogno di cibo, acqua, temperature appropriate eccetera. Infatti, le formiche infettate dal vero Ophiocordyceps unilateralis muoiono entro una decina di giorni. Insomma, realisticamente questa apocalisse zombie sarebbe finita al primo inverno, sia gli ospiti che i funghi (che, peraltro, vengono da paesi tropicali) sarebbero morti malamente entro l’epifania; se non in tutti gli USA, quantomeno nelle regioni meno calde, lasciando uno spazio più che sufficiente al governo centrale per gestire il resto. 

[2] In particolare, non ho ancora capito perché in una particolare sezione delle fogne c’è un punto in cui, se anche solo per sbaglio metto un piede su una certa scala, tutti gli infetti fino in Perù scoprono istantaneamente dove sono, anche se mi muovo furtivamente. Non riesco a capire se sia un bug o un tentativo goffo di “obbligare” il giocatore a seguire un certo percorso.

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