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15 mar 2017

[Recensione] Velvet Assassin




Di giochi basati sulla Seconda Guerra Mondiale ce ne sono probabilmente abbastanza da totalizzare più morti virtuali di quanti il conflitto ne abbia visti di reali. Forse perché è l'ultimo conflitto della Storia umana che i vincitori hanno potuto raccontare realisticamente come una guerra del bene contro il male, degli eroi che si sacrificano per fermare un nemico così chiaramente malvagio e pericoloso per il mondo intero. E in effetti, quando il nemico è un nazista è facile per chiunque di noi razionalizzare qualunque atto di violenza (virtuale) compiuto contro di lui: perché dovrei sentirmi in colpa per aver appena ucciso un altro essere umano?, era un nazista! Questa narrativa così eticamente semplice è talmente comune che è raro vedere un'opera, figuriamoci un videogioco, che cerca di rappresentare la crudezza di quel conflitto in maniera moralmente grigia, se non altro perché farlo è difficilissimo. Per questo, però, ho sempre avuto un punto debole per quelli che cercano di ricordare che anche l'esercito tedesco, probabilmente, era composto in buona parte da giovanotti reclutati a forza in una guerra voluta da un branco di maniaci nei loro palazzi del potere, mandati a morire per cause di cui poco capivano, lasciando a casa dei genitori malati, una fidanzata incinta, e un cagnolino che ogni giorno aspettava inutilmente il suo ritorno guaendo davanti alla porta.[1]

Per questo, e per altri motivi, non riesco a odiare Velvet Assassin, nonostante sia un titolo così narrativamente pretenzioso e ludicamente mediocre. Ispirato (liberamente) alla vita della combattente anglo-francese Violette Szabo, il gioco segue la storia di Violette Summers, un'assassina con una pettinatura semplicemente favolosa operante dietro le linee nemiche nell'Europa occupata, che mentre si trova in stato comatoso in un ospedale francese ricorda le missioni che l'hanno portata lì. L'atmosfera del gioco è cruda e sporca come un panino del McDonald's: gli ambienti che si visitano sono sozzi e bui, le animazioni delle uccisioni violente e spesso inutilmente sadiche, il gioco si premura di farci trovare lettere e dialoghi che danno un tocco di umanità ai soldati nazisti (lettere alle fidanzate, sollievo per l'essere assegnati lontano dal fronte, certezza di aver ormai perso una guerra continuata inutilmente solo dalla pazzia del Führer ecc.), ma al tempo stesso non si trattiene dallo sbatterci in faccia le loro atrocità (esecuzioni sommarie di donne e bambini nei ghetti ebraici, dialoghi razzisti, rappresaglie contro la popolazione civile, ecc.*[2]), né dal presentare Violette stessa come una mezza psicopatica. Ha personalità, insomma, e nonostante alla fine della fiera sia la trama che i personaggi non vadano a parare da nessuna parte, con un finale inutilmente opaco e pretenziosamente "artsy", ha la capacità di lasciare il segno. Se non altro, per il fascino della protagonista e del suo delizioso accento inglese.


Il gameplay è uno stealth abbastanza tipico, reso un po' macchinoso forse dall'inesperienza dello studio o forse dalla mancanza di fondi, ma semplice e funzionale: nell'ombra sei invisibile, alla luce sei visibile, le guardie si muovono lungo percorsi di pattuglia prestabiliti, e tu hai un coltello molto affilato. La meccanica "unica" di Velvet Assassin è data dalla morfina: nelle mappe si possono raccogliere delle siringhe di morfina, che una volta inniettate danno qualche secondo di bullet-time nei quali è possibile spostarsi senza essere visti oppure compiere un'uccisione silenziosa, anche dal davanti, su un nemico immobile; ha un suo senso dal punto di vista narrativo (usandola, Violette appare nella camicia da notte che veste in ospedale, suggerendo che si tratti di una sorta di "allucinazione" o di "corruzione dei ricordi" dovuta al suo trovarsi ferita, delirante, sotto morfina), e non può essere abusata perché si disattiva automaticamente dopo un'uccisione, quindi risulta un'utile e interessante carta "Esci gratis di prigione" in caso di emergenza.

 

Una volta scoperti c'è la possibilità di fuggire o combattere, ma le munizioni sono scarse, le armi rare, la salute poca, e i controlli della mira appiccicosi e imprecisi, quindi tanto vale ricaricare al primo "Töt die Schlampe!". Ma ci sta: apprezzo che un gioco stealth COSTRINGA ad agire di soppiatto, invece di adeguarsi alla scuola dei vari Assassin's Creed o Thief (2013) di pensare che "libertà del giocatore" significhi dire "fuck it, do whatever you want, we don't even have a point anymore". O meglio... lo apprezzerei, se l'ultima missione non diventasse un'insipida sequela di sparatorie obbligate che culminano in un'interminabile difesa contro ondate di nazisti col lanciafiamme che spawnano letteralmente dal nulla. Purtroppo però è così, e questo significa che la mira imprecisa e scattosa sarà il tramite fra voi e la violazione del comandamento "Non nominare il nome di Dio in vano". Ed è davvero, davvero un peccato, perché quel finale aveva almeno il pregio di essere il momento più crudo e tragico del gioco, ma impostato così, come uno showcase dei suoi peggiori difetti, come se Star Wars finisse con mezz'ora di dialoghi d'amore fra Anakin e Padmé, trasforma quello che dovrebbe essere l'apex dell'esperienza nel suo momento più forzato e infuriante. 

In alcune sezioni ci si può travestire da ufficiale delle SS, ma basta avvicinarsi troppo a un soldato per essere scoperti.

In definitiva, Velvet Assassin è un gioco che, nonostante molti difetti sia dal punto di vista ludico (lineare, ripetitivo, interfaccia un po' macchinosa, dialoghi casuali delle guardie troppo fastidiosi) che dal punto di vista narrativo, non riesco a odiare, sia perché ha un'atmosfera e un tono tutt'altro che comuni per un titolo ambientato nella Seconda Guerra Mondiale, sia perché lo stealth, di per sé, funziona bene. Tuttavia, in tutta sincerità, non mi sento di consigliarlo: ci sono giochi migliori sia che cerchiate un buon stealth, sia che cerchiate una storia di guerra cruda e matura, sia che cerchiate un personaggio femminile a cui guardare il sedere. Per quanto, a essere onesti, è difficile trovarne che abbiano tutte e tre queste caratteristiche. Se vi capita di trovarlo scontatissimo su Steam potete farci un pensierino per il suo stile "artsy", ma non aspettatevi il capolavoro della vita.


[1] Capiamoci: chi sposa consciamente quell'ideologia, anche oggi, non merita alcuna compassione umana, ma non ci sto a demonizzare aprioristicamente un intero popolo, né un intero esercito che so essere stato composto prevalentemente da proletari coscritti a forza.
[2] Apprezzabile il fatto che molti dei soldati cantino a loop gli stessi due-tre motivetti irritanti, facendo quindi tornare al giocatore il desiderio irrefrenabile di piantargli un coltello in gola nonostante la loro riscoperta umanità. Almeno, credo fosse quello lo scopo... o no?

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